Alle origini del turismo culturale: il fenomeno del Grand Tour
Le radici storiche del turismo culturale moderno si collegano al fenomeno del “Grand Tour”, con il quale si sviluppa in Europa un modo completamente nuovo di intendere il viaggio.
Fino ad allora, i viaggi erano essenzialmente legati a motivi commerciali, diplomatici, religiosi, o alle guerre. C’erano anche studenti inglesi, francesi, tedeschi, che già nel XV e XVI secolo si iscrivevano alle Università italiane per attingere alle grandi istituzioni culturali di Bologna, Siena, Padova, ma si trattava ancora di lunghi soggiorni di studio, e non di viaggi in senso moderno.
A partire dalla fine del Seicento e poi per tutto il XVIII secolo, epoca in cui il fenomeno raggiunge il suo culmine, il Grand Tour si concretizza invece come una peregrinazione di città in città, alla ricerca delle testimonianze dell’antichità e della classicità greca e romana.
Per definire questo modo di viaggiare viene coniato un termine specifico, “tour”, che identifica appunto il “giro” di paesi con partenza ed arrivo nello stesso punto.
L’Italia è, assieme alla Francia, la meta prediletta del Grand Tour. Il nostro Paese viene percorso interamente, da nord a sud, attraverso le maggiori città d’arte che rappresentano spesso l’obiettivo culminante del viaggio.
Ma quali sono le motivazioni di questo che costituisce uno dei fenomeni più interessanti della moderna cultura europea?
Nel XVII e XVIII secolo il Grand Tour diviene il completamento necessario della educazione dei giovani aristocratici europei (soprattutto inglesi), degli intellettuali, dei diplomatici e dei rampolli della borghesia più intraprendente.
La mentalità del Grand Tour si riallacca alla cultura baconiana e alla filosofia sperimentale, dunque all’idea del viaggio come esplorazione e ricerca.
Il viaggio acquista i connotati di una vera e propria consuetudine didattica, il “coronamento di una buona educazione”.
La sua valenza, tuttavia, non si esaurisce nella funzione didattica.
Per i figli degli aristocratici e delle classi emergenti – i mercanti, i professionisti – il viaggio segna soprattutto il confine e il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta. La trasformazione da ragazzi ad autentici gentiluomini (l’età in cui viene solitamente intrapreso oscilla tra i sedici e i ventidue anni).
L’esperienza del “grande viaggio” serve ad acquisire le doti indispensabili ai membri della nuova classe dirigente: intraprendenza, coraggio, attitudine al comando, capacità decisionale, ed anche conoscenza di costumi, maniere, galatei e lingue straniere.
Nel sermone “The Prodigal Son”, Laurence Sterne indica tra i principali vantaggi del viaggio «apprendere le lingue, conoscere le leggi e i costumi, gli interessi e le forme di governo delle altre nazioni; acquisire urbanità di modi e sicurezza di comportamento, educare lo spirito alla conversazione e ai rapporti umani», e allo stesso tempo «svezzarci dalla compagnia di zie e nonne, facendoci uscire dall’angusta stanza dei bambini».
Al Grand Tour si riconosceva dunque una funzione iniziatica che, benché sottaciuta, ne costituiva spesso la motivazione primaria.